giovedì 6 agosto 2015

Viaggio in un piatto

Pensate intensamente al vostro piatto preferito. Il riso e zucca che mangiavate da bambini, la parmigiana della mamma della vostra migliore amica, la torta di tagliatelle che non ha ricetta ma semplicemente cuore, troppo croccante per poterle dire no.
Anzi, no, immaginate e cercate di ricordate la portata più strabiliante che avete assaggiato. Quella che vi ha lasciato a occhi aperti non appena il cameriere ve l’ha poggiata sul tavolo. Quella che pensate di non poter essere mai in gradi di fare anche se davvero lo vorreste. Quella che boccone dopo boccone vi ha estasiato in un’esplosione di profumi e di sapori e che ancor prima di assaggiarla avete passato qualche minuto a osservare sorridendo, ad annusare e guardare sotto ogni prospettiva. In un ristorante con la R maiuscola, quelli dove siete quasi in imbarazzo poiché l’acqua non potete versarvela da soli. Oppure pensate al cibo più lontano dalla vostra cultura che avete trovato in chissà quale parte del mondo. Che non sapevate nemmeno esistere, che non avete visto altrove se non in quel remoto angolo del globo. Con colori e profumi che non sapevate distinguere e che ora vi rimarranno impressi nelle pupille e nelle narici. L’avete focalizzato? Immaginate quasi di poterlo sfiorare, ne sentite già il profumo e ricordate la consistenza.


Ma vi siete mai chiesti tutta la storia, tutti gli attori, il tempo e i bizzarri momenti che dietro quel piatto si nascondono? Vi siete mai chiesti da dove provenga e quanti ingredienti contenga? Quante diverse preparazioni e quante persone ci abbiano messo mano? E quello che è più meraviglioso è che sono tutte queste variabili che di volta in volta creano qualcosa di diverso ed estremamente unico, anche se ipotizzassimo di giocare sempre con gli stessi ingredienti.

La pasticceria, nelle sue fondamenta è essenzialmente burro, uova, zucchero e farina. Quattro elementi e possiamo ottenere di tutto. Semplicemente variando le dosi, il come impastare, le temperature del forno, i metodi di cottura e senza dubbio la mano di chi lavora. Scelgo dunque di raccontarvi di un dolce…

Stiamo procedendo troppo velocemente. Lavorare la materia prima è il gradino successivo, prima bisogna ottenerla. Il sole che scalda e fa maturare la frutta, la campagna con il profumo dell’erba appena tagliata, le mucche e i pollai. Le piantagioni di cacao, la macina di pietra per la farina. La raffinazione dello zucchero, la vendemmia e le nocciole. I mandorli in fiore e le api che stuzzicano i pistilli colorati. Immaginate quante genti e quanti luoghi potete ritrovare in un solo piatto. E poi tutto approda in una cucina, per convogliare tutte le energie fino a quel momento impiegate per creare il gioiello che vi ritroverete nel piatto.

Uno spogliatoio e un montacarichi. Si spalanca la porta e si entra in scena. Tutti con la divisa bianca, ognuno con le proprie bordure e il proprio nome, orgoglioso di indossarla. Ognuno con il cappello, serio, buffo o con la bandana colorata. Ognuno con i pantaloni più estrosi e variopinti che lo contraddistinguono. Chi a tagliare verdure, chi carne, chi pesce. Chi butta la pasta e impasta la pizza. Chi intaglia un anguria e chi lava montagne di pentole e piatti. Chi a fare a pugni con il caldo per montare la panna e lavorare con le decorazioni di cioccolato. Migliaia di odori si mischiano, l'uno a pochi centimetri dall'altro, da pentole e forni salgono vapori e profumi. Il vociare di sottofondo è ininterrotto, accompagnato dai suoni metallici di ciotole e fuste, dall'acqua che scorre e dal motore dei frigo. Il caldo è insopportabile, tanto che percepisci la divisa attaccata alla pelle, il lavoro da fare è tanto, ma non ci si risparmia mai una battuta e un sorriso, una malizia e una risata. Sembra di essere all'interno di un libro di Bourdain, affatto esagerato e lontano da quello che è la realtà di ogni cucina.


Tutto è frenetico, stancante e appagante. Per un risultato che è invece emblema della calma e della perfezione. Quella di un pasto condiviso, accompagnato da un calice di vino, in una sala impeccabile. Questo è il retroscena, il proiezionista e il burattinaio. Nessuno sembra farci caso, invisibili agli occhi degli spettatori. Eppure dietro quelle porte c’è il mondo bellisimo di cui vi parlo.

Esce il ragazzo di sala con la cloche e ve la appoggia delicatamente davanti. Stupore. Non potete riconoscere quasi nulla perché nulla ha la forma che conoscete. I lamponi non sono più lamponi, ma sono piccoli puntini che decorano il piatto, una coulis tra il rosso e il fucsia che come lacrime di rugiada illumina il piatto trasparente. C’è un striscia di terra, briciole marrone scuro di un impasto che per comodità possiamo dire assomigliare a quello di un biscotto. Ci sono tre quenelles di colori diversi, cangianti, lucide. Un cremoso, una mousse e un sorbetto. Mirtillo, cioccolato bianco e mango. Piccoli fiori eduli tra il giallo e il viola sparsi per il piatto, tra le colline e la terra. Piccoli cubetti che sembrano degli ostacoli tra le gocce al lampone: si alternano quelli trasparenti di gelatina a un succo di frutti di bosco e quelli di un cioccolato che pare pieno di bolle. Infine la decorazione, alta e croccante, che da movimento e slancio al piatto. Sembra cristallo, invece scopriamo essere di zucchero.

Non azzardatevi a piantarci subito il cucchiaio in mezzo. Osservatelo, giratelo e guardatelo da una differente prospettiva. Sentite i profumi degli ingredienti, riconosceteli e immaginateveli. Sentite dentro di voi la sensazione di quello che il dolce vi trasmette. La terra e le persone che vi hanno messo mano. La perfezione dei dettagli in contrasto con il caos della cucina. La mano delicata di chi l’ha composto e le braccia colorate dal sole di chi ne ha raccolto la frutta utilizzata. Assaggiatelo. E a ogni boccone chiudete gli occhi e semplicemente lasciatevi trasportare. Senza pensare che è la fine del pasto, focalizzandovi invece laddove tutto lo stupore è nato.

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